martedì 9 marzo 2010

Una potenza che non si fa potere. Il difficile rapporto tra donne e politica

Elettra Lorini
Un libro collettivo. Un libro per ragionare insieme, donne e uomini, su un tema che ci riguarda tutte e tutti. Perché la straordinaria potenza che le donne esprimono nella famiglia, nella società, nel mondo del lavoro non contamina nel nostro paese la politica? Perché il potere continua a mostrare nelle sue manifestazioni pubbliche soprattutto i caratteri del maschile? Perché le donne fanno tanta fatica ad affermare con autorevolezza la loro presenza e la loro voce su questa scena?
Perché l’immagine femminile continua ad essere rappresentata secondo vecchi stereotipi e le donne faticano ad affermare nuovi modelli attrattivi? Perché qualità e abilità cosiddette “femminili” (l’empatia, la ricettività, la creatività, la cura…) sono ritenute sempre più importanti per far fronte ai problemi della contemporaneità, ma trascurate dalla politica? Queste e altre simili domande mi accompagnano da tempo e non in maniera astratta e teorica, ma a partire dalla concreta esperienza che ha segnato la mia vita di donna che ha attraversato molte stagioni, ha conosciuto differenti realtà, non ha avuto paura di confrontarsi col potere e assumersi responsabilità pubbliche.
Le donne e la città di Siena mi hanno offerto occasioni preziose per precisare la riflessione e ragionarne in pubblico: con il libro a più mani Donne e politica che il Laboratorio delle donne mi ha chiesto di curare, con la mostra e il convegno dell’Associazione Archivio dell’UDI Le carte parlano e La memoria è generativa, con l’incontro promosso il 7 settembre 2009 da Susanna Cenni Noi ci siamo.
La richiesta di parlarne all’insegna di “Luna e l’altro” nelle giornate di Griselda scrittura mi ha offerto l’opportunità di affrontare la questione in un’ottica stimolante e con un linguaggio insolito.
Gli spunti fin qui maturati possono costituire una provocazione iniziale per raccogliere una pluralità di voci e farsi così discorso che nel confronto alimenta la politica? Io ho fiducia di sì. Credo infatti che proprio quando più dolorosa si manifesta la costrizione del limite si diventa capaci di attingere con più vigore alle radici profonde che alimentano la nostra energia…e la costrizione tra una potenza femminile inespressa ed un potere sordo alla sua voce è oggi drammatica nel nostro paese. Leggo i segni della potenza nella presenza di donne competenti e autorevoli in luoghi in cui erano estranee o insignificanti solo pochi decenni fa: nella ricerca, nella Pubblica Amministrazione, nell’imprenditoria, nella magistratura, nella produzione artistica. (...) Dall’altra parte ogni giorno che passa è tangibile la fatica di farsi ascoltare sulla scena della politica per chi parla linguaggi e usa parole che non siano quelle dell’appartenenza a schieramenti o di ripetizione ossessiva degli stessi slogan e frasi fatte. Uno scenario dal quale sembra scomparso il senso della polis, spazio comune dove si confrontano posizioni e si costruiscono strategie per il futuro. Si assiste insomma a un imbarbarimento della dialettica, dove i “barbari” esercitano il potere, potenti ma estranei alla “polis”, della quale non conoscono più il linguaggio, che si alimenta della dialettica tra le posizioni, che si nutre sì del confronto di parole, ma parole significanti, espressione di un ragionamento capace di favorire il discorso e con questo l’apertura di nuove possibilità di azione. Spesso mi sembra che la politica non sappia più parlare a donne e uomini perché le sue parole – spesso urlate per coprirne la vacuità- non sanno dire i bisogni profondi, non sanno esprimere le preoccupazioni più autentiche dei cittadini, alimentare il discorso ed il confronto, quindi nemmeno dar corpo alle speranze possibili. Soprattutto non sanno far vedere una prospettiva di futuro per la quale mobilitare le energie.
In questo vuoto di relazioni autentiche e profonde, in questa monotonia di temi che si fa sordità a voci “altre”, io scorgo uno dei motivi alla base dell’estraneità delle donne alla politica. D’altra parte il fatto che ci siano così poche donne nei luoghi che contano è una delle ragioni che non fanno esprimere il “femminile” di cui tanto i nostri tempi e la politica avrebbero bisogno. (...) Coltivo una visione dove il disagio quotidiano di chi soffre per l’estraneità della politica ai bisogni e ai valori più profondi scompare per far posto non ad un idillio incantato, ma a una scena dove si muovono uomini e donne che hanno il coraggio dell’autenticità perché sono “davvero veri”, capaci di attingere e manifestare la loro identità più intima, dove c’è posto per i desideri e non solo per gli obiettivi, per le passioni e non solo per i calcoli…per il proprio femminile e non solo per il proprio “avere gli attributi”. Allora potremo scoprire nuove pratiche dove il confronto con l’altro da noi, con il “diverso” – sia esso un avversario politico, un migrante che arriva da un'altra cultura, un uomo o una donna che esprime scelte di vita o sessuali che non sono le nostre – ci aiuta a vedere nuove strade, individuare risposte vere ed efficaci a problemi inediti, in un confronto dove l’apertura della mente che analizza, interpreta, capisce quello che cambia intorno a noi, si integra con l’apertura del cuore che mobilita le energie necessarie a provocare le trasformazioni profonde necessarie al cambiamento.
La responsabilità verso i cittadini non sarà intesa solo come capacità di intercettarne gli umori e coerenza nel mantenere fede agli impegni presi, ma anche come responsabilità personale, radicata nella abilità di dare risposte a partire dalla propria dimensione più profonda. I problemi metteranno in gioco intimamente, in una ricerca di risposte da dare non a questioni astratte, ma a persone reali, che possono soffrire o gioire per le nostre scelte e le nostre azioni, dove quindi il risultato prevale anche sullo schieramento. Di fronte a questioni spinose e scelte impegnative, non si riesumeranno vecchi giochi e si cercheranno intese su vecchi equilibri; ma sulla straordinaria forza dell’inerzia prevarrà la creatività; quella straordinaria capacità generativa che a partire da sé, attraverso l’incontro fecondo con l’altro, produce il nuovo e alimenta il cambiamento e il divenire.
Naturalmente anche il potere stesso cambierà: certo, continuerà ad avere i connotati dell’esercizio del ruolo e dell’assunzione della responsabilità, ma sarà prevalente il fine sul mezzo; si caratterizzerà con l’impegno ad agire per delineare concreti scenari di cambiamento, perché ai bisogni siano date risposte qualitativamente soddisfacenti, perché si recuperi equilibrio ed armonia con l’ambiente circostante, perché l’esercizio della politica sia un gioco orientato a far sprigionare le migliori energie grazie alla capacità di mettere in relazione e far reagire persone diverse mobilitandole verso traguardi condivisi.
La mia è una provocazione: so bene che le contraddizioni e le difficoltà della politica non sono riducibili alla scarsa presenza delle donne e al prevalere di una cultura dai connotati fortemente maschili, se non apertamente maschilisti.
Sono però convinta che questo è uno spaccato di un problema più ampio e che affrontarlo significa misurarsi con la più complessa questione del rinnovamento della politica. Come? Non ho ricette. L’apertura di un confronto ampio su questo tema con voci di donne ed uomini è un modo per mettere in campo più punti di vista in un discorso che di per sé aspira ad essere politica. Io parto da me: dalla mia storia di donna che ha vissuto le stagioni dell’impegno e del disincanto, che ha gioito e sofferto nel difficile rapporto con la politica, che in questo percorso ha acquisito ed espresso competenze e passioni, che conosce la solitudine della responsabilità e l’energia della condivisione più autentica, che si è interrogata costantemente per coniugare il pensare con il fare, che si sente oggi stanca, ma non rassegnata. (...) È in base a questa esperienza che sono convinta sia necessario un grande lavoro culturale e di formazione perché si aprano canali di comunicazione dove, a partire dal simbolico più profondo, uomini e donne riescano ad esprimere, anche nella politica, il loro “femminile” e il loro “maschile” più autentico, dialoganti tra loro, a fronte degli schemi stereotipati che ingessano le relazioni, favoriscono omologazione e cooptazione e sono di freno all’emergere del nuovo.
Non a caso spero che questa mia provocazione sia raccolta da donne e uomini.
Sono però le donne che in prima persona hanno il compito valorizzare e far esprimere a tutti i livelli l’autostima femminile, lavorare sul superamento dei propri limiti, definire proposte di azione e costruire le condizioni perché diano dei risultati.
Gli strumenti non mancano: penso alle leggi in materia di pari opportunità, alla carta europea per l’eguaglianza che invita tutte le istituzioni a definire propri piani d’azione, a normative sulla cittadinanza di genere come quella della Regione Toscana…il problema mi sembra essere piuttosto quello dei contenuti e delle politiche.
Le competenze e le energie non mancano. Questa provocazione parte proprio dalla convinzione della straordinaria potenza delle donne: occorre non disperderla, catalizzarla e raccoglierla là dove si esprime e, soprattutto, metterla in circolo.
Abbiamo discusso molto in passato sul “fare rete” delle donne. Con le nuove tecnologie la rete telematica è diventata pervasiva, si è visto come sappia agire da moltiplicatore di informazione e di iniziativa; è emerso anche come le donne, specie le più giovani, sappiano utilizzare in maniera creativa questo potenziale. Bene: uno strumento in più per le nostre politiche!
Mi piace però affiancare alla nozione di rete quella di circolo, dove l’energia fluisce attraverso il contatto, che attraverso i diversi passaggi torna là dove aveva avuto origine, diversa da come era partita e in grado di alimentarsi senza sosta. Un circolo che richiama immagini di danza, dove ci si specchia e ci si riconosce nell’immagine delle altre, che con le loro posture ed i loro movimenti ci aiutano ad adattare e rendere più armoniosi i nostri. Un circolo che sa aprirsi e allargarsi come sull’acqua di uno stagno, fino a toccare le sponde più remote. Un circolo che non ha paura di intrecciarsi con un altro, diverso da sé per sprigionare una nuova energia, capace di modificare l’esistente.

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