martedì 30 marzo 2010

LINGUAGGIO

Prima di tutto ringrazio le promotrici per avermi dato l'opportunità di contribuire al blog.
Espongo alcune considerazioni. Le elezioni sono finite. Ora si può cominciare a lavorare di "sorveglianza" su chi ha aderito all'appello, anche se è stato sconfitto: essere all'opposizione non solleva dal compito. O no?
Inoltre, come ho avuto modo di scrivere in un breve commento al post del 22 marzo, credo ci sia un'altra fetta di civiltà da coinvolgere fortemente negli obiettivi che nonconsideronormale si è posto: i media. I media detengono il potere del linguaggio e credo che sul linguaggio (scritto e visivo) ci sia molto da fare allo scopo. Mi piacerebbe che ne parlassimo qui o anche incontrandoci, per capire se un'iniziativa di adesione/sostegno come quella che le promotrici hanno fatto con i candidati politici, sia possibile anche con i mezzi d'informazione. I direttori di testata, per esempio.
Che cosa ne pensate?
(raethia alias lazippora)

lunedì 22 marzo 2010

22 marzo: i lanci delle agenzie di stampa

REGIONALI: PROMOTRICI ‘NON CONSIDERO NORMALE’ INCONTRANO CANDIDATI SINISTRA LAZIO
Roma, 22 mar. – (Adnkronos) – Hanno voluto dire no all’idea di una donna considerata “merce di scambio” o “tangente”, chiedendo alla politica della sinistra e soprattutto ai suoi candidati alle prossime regionali di “schierarsi” contro quell’immagine che la fotografa nella “banalità del suo essere” dimenticandone la “sostanza e il merito”. Così Silvia Nono, dall’idea e’ passata ai fatti, pubblicando sul web l’appello ‘Non considero normale’. La prima vittoria per lei e per le altre tre donne che ne hanno subito raccolto l’invito – Adriana Valente, Serena Perrone e Maria Teresa Carbone – è stato il boom di adesioni al sito: sono 5.500 su Facebook e 2.000 sul sito stesso, tra i quali nomi noti come quello di Natalia Aspesi, Francesca Comencini, Caterina Soffici ed altre. In tutto 17 i firmatari nel Lazio tra i candidati Pd, Federazione sinistra e Sel presenti oggi all’incontro organizzato dalle promotrici dell’appello a Palazzo Valentini a Roma per fare un punto sulle iniziative concrete in prospettiva dei prossimi cinque anni di governo regionale. Sul tema di fondo, quello della mercificazione dell’immagine femminile Luigi Nieri assessore al Bilancio della Regione Lazio, si è detto “imbarazzato dal fatto che argomenti che dovrebbero essere alle nostre spalle ricompaiono di attualità”, mentre per Giulia Rodano, assessore regionale alla Cultura, la questione è “di natura culturale”. “Una cosa fondamentale che le donne devono ricordare – ha detto Rodano – è che non devono 'stare al loro posto', sostenute da uomini, ma devono combattere da sole le loro battaglie. Il tema delle escort così come affrontato dai giornali è fastidioso: rendere personaggi queste donne e’ sbagliato. Le donne devono essere consapevoli che si può essere diversamente protagoniste”. “Più welfare, maggiori politiche di genere e più pressione sulla cultura della comunicazione”. Queste le richieste delle promotrici dell’appello che nel corso del dibattito hanno anche affrontato le problematiche legate al ruolo della donna nella politica, nella società e nel lavoro, dalle retribuzioni “inferiori” a quelle dei colleghi uomini al diritto alla maternità. A partecipare all’incontro anche i candidati regionali del Pd Piero Ambrosi e Massimiliano Bottaro, Angelo Masetti (Verdi), Fabio Nobile e Graziarosa Villani per la Federazione della sinistra.

REGIONALI: AMBROSI (PD), NUOVA REGIONE VALORIZZI TALENTI DELLE DONNE
Roma, 22 mar. - (Adnkronos) - ''La nuova Regione dovrà valorizzare i talenti e le esperienze delle donne promuovendo politiche dirette a favorire la loro partecipazione e presenza nei diversi contesti di vita, tenendo conto delle variegate realtà delle cinque province del Lazio''. Lo ha detto Piero Ambrosi, candidato a Roma e provincia nelle liste del Pd, intervenendo all'incontro 'Non considero normale, parliamo di donne in campagna elettorale', presso Palazzo Valentini. Ambrosi ha inserito nel proprio programma elettorale la dichiarazione 'Non considero normale trattare le donne come merce di scambio', appello rivolto a tutti i candidati. Secondo Ambrosi, ''nell’ultima legislatura la Regione Lazio si e' impegnata per generare pari opportunità con l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla partecipazione delle donne in tutti i settori produttivi, rafforzando le politiche di conciliazione tra ruoli familiari e lavorativi, perché il lavoro delle donne -ha spiegato- e' una grande opportunità per rilanciare lo sviluppo, contribuire alla crescita del Pil, produrre innovazione e un conseguente innalzamento della qualità di vita nei territori''. La Regione – aggiunge Ambrosi, che ha inserito nel proprio programma elettorale la dichiarazione ‘Non considero normale trattare le donne come merce di scambio’, appello rivolto a tutti i candidati - deve proseguire verso gli obiettivi già individuati realizzando un welfare innovativo con al centro la persona, che accompagni le donne nelle diverse esigenze quotidiane, dal sostegno alla fragilità al ruolo della famiglia, dai servizi per l’infanzia da potenziare alla genitorialità e al trasporto degli anziani". "Inoltre – continua il candidato del PD – bisogna sostenere la buona occupazione femminile, riducendo il precariato e favorendo l’occupazione stabile anche con incentivi alle imprese, conciliare i tempi di vita e di lavoro attraverso la flessibilità dell’orario ed il telelavoro, rafforzare l’espansione dell’impresa femminile individuando sistemi di accesso al credito, la formazione manageriale, l’accompagnamento dell’impresa. Per dare maggior impulso a queste politiche – conclude - bisogna non solo agire sui singoli settori, ma rilanciare la partecipazione paritaria dei generi alla vita politica ed amministrativa, perché gli orari sono il vero grande limite della partecipazione delle donne alla vita pubblica. I tempi della politica devono essere quelli della vita".

BOTTARO: “ANCHE NELLA RICERCA ITALIA INDIETRO SUI DIRITTI DELLE DONNE”
Roma, 22 mar. - “Il Gender gap report, classifica del World economic forum che misura quanto ci si è avvicinati a una reale parità tra uomini e donne nei singoli paesi, dice che per quest’anno l’Italia si trova al 72esimo posto (su 135 paesi) e questo non è degno di un paese che si reputa civile e moderno come il nostro”. Lo ha detto Massimiliano Bottaro, ricercatore precario dell’ISPRA e candidato con il Partito democratico alle elezioni regionali nel Lazio, partecipando all’iniziativa delle promotrici dell’appello Non Considero Normale, sul tema della mercificazione dell’immagine femminile, che si è tenuta oggi a Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma. “Questa anomalia italiana riflette un’involuzione civile e culturale partita negli anni ’80 – aggiunge Bottaro – e per rimuoverla bisogna operare su due livelli: il principale è sicuramente l’educazione scolastica, che deve essere attenta all’uguaglianza di genere, raccontando nei programmi le storie delle donne che hanno fatto grande l’Italia”. “L’altro aspetto – conclude il candidato – è quello dei diritti. Se si parla di ricerca non si può non pensare alle migliaia di scienziate precarie, a cui sono negati diritti fondamentali della donna come quello alla maternità, tendenza che in alcuni casi porta addirittura alla rescissione del contratto della ricercatrice che rimane incinta”.

DONNE, AGOSTINI (PD): ADERIRE AD APPELLO «NON CONSIDERO NORMALE» (OMNIROMA) Roma, 22 mar - «Non considero normale...che le donne siano trattate come merce di scambio nelle relazioni personali e professionali, nella politica e nella comunicazione..». Parte da questa presa di posizione netta, si legge in una nota, l'appello contro la mercificazione dell'immagine femminile lanciato in rete a febbraio e che «ha già raccolto più' di 5500 adesioni su Facebook e oltre 2000 sul sito www.nonconsideronormale.it». Quali le reazioni all'appello? Quali le iniziative concrete per promuovere il ruolo della donne nella politica, nel lavoro, nella società? Se n'è parlato oggi all'incontro organizzato a Palazzo Valentini dalle promotrici dell'appello: Silvia Nono, Adriana Valente, Serena Perrone, Maria Teresa Carbone, con il sostegno della presidente della Commissione provinciale delle Elette Roberta Agostini. Hanno partecipato esponenti politici che hanno aderito all'appello, tra i quali candidati alle prossime regionali e rappresentanti del mondo delle associazioni. Per Roberta Agostini (Pd): «L'appello 'non considero normalè condensa la reazione davanti alla mercificazione dell'immagine femminile e nell'assistere ad una retromarcia dopo le battaglie per tanti diritti. Per questo anche l'adesione all'appello è importante. Non deve passare il messaggio che sia normale che il corpo delle donne venga trattato come oggetto per vendere prodotti o scambiare favori. I dati - aggiunge - registrano, inoltre, una presenza ancora inadeguata nel mondo del lavoro e della politica, testimonianza di un'arretratezza culturale di cui il nostro paese soffre da troppo tempo. La Provincia - annuncia Agostini - si sta facendo promotrice attraverso una mozione presentata in Consiglio Provinciale, di una campagna di sensibilizzazione sull'utilizzo dell'immagine del corpo della donna. Tra le iniziative: una mostra fotografica dal titolo»Femminile plurale« in risposta agli stereotipi nella rappresentazione della figura femminile e un grande convegno sul tema, che chiamerà a raccolta rappresentanti del mondo istituzionale, politico e le tante associazioni attive nelle pari opportunità e la difesa dei diritti». red 221839 mar 10

giovedì 18 marzo 2010

Parliamo di donne in campagna elettorale


Lunedì 22 marzo, alle ore 11:30 nella Sala della Pace, Provincia di
Roma, Palazzo Valentini, le promotrici dell'appello NON CONSIDERO
NORMALE organizzano un incontro sul tema della mercificazione dell'immagine femminile
nella comunicazione e sulle iniziative concrete per promuovere un nuovo ruolo delle
donne nella politica, nel lavoro e nella società.

All'incontro parteciperanno vari candidati che hanno aderito all'appello, esponenti delle associazioni più rappresentative e attive su queste tematiche e le promotrici dell'appello.
Finora hanno confermato la loro presenza all'incontro: Massimiliano Bottaro (PD), Luisa Capelli (IDV), Angelo Masetti (Verdi), Luigi Nieri (SeL), Fabio Nobile (Federazione della Sinistra), Giulia Rodano (IDV), Daniela Valentini (PD), Graziarosa Villani (Federazione della Sinistra).
Siete tutte invitate.

giovedì 11 marzo 2010

Il PD aderisce all'appello

I candidati di centrosinistra aderiscono all'iniziativa, con una dichiarazione semplice ma efficace: "Non è normale che le donne siano trattate come merce di scambio nelle relazioni personali e professionali, nella politica e nella comunicazione".
Questa mattina Roberta Agostini, responsabile Conferenza delle Donne della segreteria nazionale del Pd e Davide Zoggia, responsabile Enti Locali, hanno incontrato le promotrici dell’appello per il rispetto della dignità delle donne ‘Non considero normale’, rivolto ai candidati del centrosinistra alle elezioni regionali, a cui il Pd aderisce. Nel corso dell'incontro si è deciso di promuovere insieme iniziative sui temi dell'appello già nelle prossime settimane.
“Quella delle promotrici – dichiara Roberta Agostini – può apparire come una richiesta scontata, ma il fatto che sia necessario formularla è il segno più tangibile del livello a cui il nostro Paese rischia di precipitare”.

martedì 9 marzo 2010

Una potenza che non si fa potere. Il difficile rapporto tra donne e politica

Elettra Lorini
Un libro collettivo. Un libro per ragionare insieme, donne e uomini, su un tema che ci riguarda tutte e tutti. Perché la straordinaria potenza che le donne esprimono nella famiglia, nella società, nel mondo del lavoro non contamina nel nostro paese la politica? Perché il potere continua a mostrare nelle sue manifestazioni pubbliche soprattutto i caratteri del maschile? Perché le donne fanno tanta fatica ad affermare con autorevolezza la loro presenza e la loro voce su questa scena?
Perché l’immagine femminile continua ad essere rappresentata secondo vecchi stereotipi e le donne faticano ad affermare nuovi modelli attrattivi? Perché qualità e abilità cosiddette “femminili” (l’empatia, la ricettività, la creatività, la cura…) sono ritenute sempre più importanti per far fronte ai problemi della contemporaneità, ma trascurate dalla politica? Queste e altre simili domande mi accompagnano da tempo e non in maniera astratta e teorica, ma a partire dalla concreta esperienza che ha segnato la mia vita di donna che ha attraversato molte stagioni, ha conosciuto differenti realtà, non ha avuto paura di confrontarsi col potere e assumersi responsabilità pubbliche.
Le donne e la città di Siena mi hanno offerto occasioni preziose per precisare la riflessione e ragionarne in pubblico: con il libro a più mani Donne e politica che il Laboratorio delle donne mi ha chiesto di curare, con la mostra e il convegno dell’Associazione Archivio dell’UDI Le carte parlano e La memoria è generativa, con l’incontro promosso il 7 settembre 2009 da Susanna Cenni Noi ci siamo.
La richiesta di parlarne all’insegna di “Luna e l’altro” nelle giornate di Griselda scrittura mi ha offerto l’opportunità di affrontare la questione in un’ottica stimolante e con un linguaggio insolito.
Gli spunti fin qui maturati possono costituire una provocazione iniziale per raccogliere una pluralità di voci e farsi così discorso che nel confronto alimenta la politica? Io ho fiducia di sì. Credo infatti che proprio quando più dolorosa si manifesta la costrizione del limite si diventa capaci di attingere con più vigore alle radici profonde che alimentano la nostra energia…e la costrizione tra una potenza femminile inespressa ed un potere sordo alla sua voce è oggi drammatica nel nostro paese. Leggo i segni della potenza nella presenza di donne competenti e autorevoli in luoghi in cui erano estranee o insignificanti solo pochi decenni fa: nella ricerca, nella Pubblica Amministrazione, nell’imprenditoria, nella magistratura, nella produzione artistica. (...) Dall’altra parte ogni giorno che passa è tangibile la fatica di farsi ascoltare sulla scena della politica per chi parla linguaggi e usa parole che non siano quelle dell’appartenenza a schieramenti o di ripetizione ossessiva degli stessi slogan e frasi fatte. Uno scenario dal quale sembra scomparso il senso della polis, spazio comune dove si confrontano posizioni e si costruiscono strategie per il futuro. Si assiste insomma a un imbarbarimento della dialettica, dove i “barbari” esercitano il potere, potenti ma estranei alla “polis”, della quale non conoscono più il linguaggio, che si alimenta della dialettica tra le posizioni, che si nutre sì del confronto di parole, ma parole significanti, espressione di un ragionamento capace di favorire il discorso e con questo l’apertura di nuove possibilità di azione. Spesso mi sembra che la politica non sappia più parlare a donne e uomini perché le sue parole – spesso urlate per coprirne la vacuità- non sanno dire i bisogni profondi, non sanno esprimere le preoccupazioni più autentiche dei cittadini, alimentare il discorso ed il confronto, quindi nemmeno dar corpo alle speranze possibili. Soprattutto non sanno far vedere una prospettiva di futuro per la quale mobilitare le energie.
In questo vuoto di relazioni autentiche e profonde, in questa monotonia di temi che si fa sordità a voci “altre”, io scorgo uno dei motivi alla base dell’estraneità delle donne alla politica. D’altra parte il fatto che ci siano così poche donne nei luoghi che contano è una delle ragioni che non fanno esprimere il “femminile” di cui tanto i nostri tempi e la politica avrebbero bisogno. (...) Coltivo una visione dove il disagio quotidiano di chi soffre per l’estraneità della politica ai bisogni e ai valori più profondi scompare per far posto non ad un idillio incantato, ma a una scena dove si muovono uomini e donne che hanno il coraggio dell’autenticità perché sono “davvero veri”, capaci di attingere e manifestare la loro identità più intima, dove c’è posto per i desideri e non solo per gli obiettivi, per le passioni e non solo per i calcoli…per il proprio femminile e non solo per il proprio “avere gli attributi”. Allora potremo scoprire nuove pratiche dove il confronto con l’altro da noi, con il “diverso” – sia esso un avversario politico, un migrante che arriva da un'altra cultura, un uomo o una donna che esprime scelte di vita o sessuali che non sono le nostre – ci aiuta a vedere nuove strade, individuare risposte vere ed efficaci a problemi inediti, in un confronto dove l’apertura della mente che analizza, interpreta, capisce quello che cambia intorno a noi, si integra con l’apertura del cuore che mobilita le energie necessarie a provocare le trasformazioni profonde necessarie al cambiamento.
La responsabilità verso i cittadini non sarà intesa solo come capacità di intercettarne gli umori e coerenza nel mantenere fede agli impegni presi, ma anche come responsabilità personale, radicata nella abilità di dare risposte a partire dalla propria dimensione più profonda. I problemi metteranno in gioco intimamente, in una ricerca di risposte da dare non a questioni astratte, ma a persone reali, che possono soffrire o gioire per le nostre scelte e le nostre azioni, dove quindi il risultato prevale anche sullo schieramento. Di fronte a questioni spinose e scelte impegnative, non si riesumeranno vecchi giochi e si cercheranno intese su vecchi equilibri; ma sulla straordinaria forza dell’inerzia prevarrà la creatività; quella straordinaria capacità generativa che a partire da sé, attraverso l’incontro fecondo con l’altro, produce il nuovo e alimenta il cambiamento e il divenire.
Naturalmente anche il potere stesso cambierà: certo, continuerà ad avere i connotati dell’esercizio del ruolo e dell’assunzione della responsabilità, ma sarà prevalente il fine sul mezzo; si caratterizzerà con l’impegno ad agire per delineare concreti scenari di cambiamento, perché ai bisogni siano date risposte qualitativamente soddisfacenti, perché si recuperi equilibrio ed armonia con l’ambiente circostante, perché l’esercizio della politica sia un gioco orientato a far sprigionare le migliori energie grazie alla capacità di mettere in relazione e far reagire persone diverse mobilitandole verso traguardi condivisi.
La mia è una provocazione: so bene che le contraddizioni e le difficoltà della politica non sono riducibili alla scarsa presenza delle donne e al prevalere di una cultura dai connotati fortemente maschili, se non apertamente maschilisti.
Sono però convinta che questo è uno spaccato di un problema più ampio e che affrontarlo significa misurarsi con la più complessa questione del rinnovamento della politica. Come? Non ho ricette. L’apertura di un confronto ampio su questo tema con voci di donne ed uomini è un modo per mettere in campo più punti di vista in un discorso che di per sé aspira ad essere politica. Io parto da me: dalla mia storia di donna che ha vissuto le stagioni dell’impegno e del disincanto, che ha gioito e sofferto nel difficile rapporto con la politica, che in questo percorso ha acquisito ed espresso competenze e passioni, che conosce la solitudine della responsabilità e l’energia della condivisione più autentica, che si è interrogata costantemente per coniugare il pensare con il fare, che si sente oggi stanca, ma non rassegnata. (...) È in base a questa esperienza che sono convinta sia necessario un grande lavoro culturale e di formazione perché si aprano canali di comunicazione dove, a partire dal simbolico più profondo, uomini e donne riescano ad esprimere, anche nella politica, il loro “femminile” e il loro “maschile” più autentico, dialoganti tra loro, a fronte degli schemi stereotipati che ingessano le relazioni, favoriscono omologazione e cooptazione e sono di freno all’emergere del nuovo.
Non a caso spero che questa mia provocazione sia raccolta da donne e uomini.
Sono però le donne che in prima persona hanno il compito valorizzare e far esprimere a tutti i livelli l’autostima femminile, lavorare sul superamento dei propri limiti, definire proposte di azione e costruire le condizioni perché diano dei risultati.
Gli strumenti non mancano: penso alle leggi in materia di pari opportunità, alla carta europea per l’eguaglianza che invita tutte le istituzioni a definire propri piani d’azione, a normative sulla cittadinanza di genere come quella della Regione Toscana…il problema mi sembra essere piuttosto quello dei contenuti e delle politiche.
Le competenze e le energie non mancano. Questa provocazione parte proprio dalla convinzione della straordinaria potenza delle donne: occorre non disperderla, catalizzarla e raccoglierla là dove si esprime e, soprattutto, metterla in circolo.
Abbiamo discusso molto in passato sul “fare rete” delle donne. Con le nuove tecnologie la rete telematica è diventata pervasiva, si è visto come sappia agire da moltiplicatore di informazione e di iniziativa; è emerso anche come le donne, specie le più giovani, sappiano utilizzare in maniera creativa questo potenziale. Bene: uno strumento in più per le nostre politiche!
Mi piace però affiancare alla nozione di rete quella di circolo, dove l’energia fluisce attraverso il contatto, che attraverso i diversi passaggi torna là dove aveva avuto origine, diversa da come era partita e in grado di alimentarsi senza sosta. Un circolo che richiama immagini di danza, dove ci si specchia e ci si riconosce nell’immagine delle altre, che con le loro posture ed i loro movimenti ci aiutano ad adattare e rendere più armoniosi i nostri. Un circolo che sa aprirsi e allargarsi come sull’acqua di uno stagno, fino a toccare le sponde più remote. Un circolo che non ha paura di intrecciarsi con un altro, diverso da sé per sprigionare una nuova energia, capace di modificare l’esistente.

lunedì 8 marzo 2010

Donne anno zero?

Dal "Manifesto" di ieri, 7 marzo 2010, un percorso che prende spunto da alcuni libri recenti "sul mondo femminile colpito dalla mercificazione berlusconiana"
Ida Dominijanni
«La donna è l'altro rispetto all'uomo. L'uomo è l'altro rispetto alla donna. L'uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli». «Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza». «La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un'altra cosa». «Per uguaglianza delle donne si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell'uomo. Ma...ci siamo accorte che sul piano della gestione del potere non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere. E' per sventare questo possibile attentato della donna che oggi ci viene riconosciuto l'inserimento a titolo di uguaglianza». Sono solo alcune citazioni delle molte possibili dal Manifesto di Rivolta Femminile e da Sputiamo su Hegel, il testo forse più famoso di Carla Lonzi, entrambi datati 1970, ed entrambi al centro, con tutto il resto della sua opera, del partecipatissimo convegno della Casa internazionale delle donne di Roma che in questi giorni (cfr. Maria Luisa Boccia sul manifesto di giovedì scorso) ne ha ripercorso la figura di militante e teorica femminista nonché critica d'arte. Non una commemorazione né una monumentalizzazione, ma una riattualizzazione della radicalità della figura di Lonzi e della radicalità da lei impressa al femminismo italiano degli anni Settanta e seguenti, sul piano del pensiero e della pratica, nel modo di concepire la politica e la libertà femminile, la trasformazione di sé e del mondo, la relazione con le altre e il conflitto con l'altro. Una riattualizzazione tanto più tempistica dopo un anno come questo e in un momento come questo, in cui il discorso sulle donne sembra sequestrato dall'immaginario berlusconiano (e non solo berlusconiano) al potere, e il discorso delle donne rischia una risposta speculare e subalterna.
Quale? Quella, già in voga sui media nei mesi scorsi, che scambia la fiction berlusconiana per la realtà («siamo un paese di veline»), vede passività dove c'è stata reattività (la reiterata denuncia del «silenzio delle donne», che copre e svalorizza la parola delle donne che hanno denudato il re), prescrive ricette del tutto inadatte alla malattia (quote rosa quando è chiaro l'uso che ne fa Berlusconi e non solo lui, parità e diritti quando è chiaro che il conflitto è sulla sessualità e sull'immaginario). Non ne è esente il quadro desolato e desolante delle donne italiane che Caterina Soffici traccia nel suo Ma le donne no, sottotitolo (buono per le vendite in libreria) «Come si vive nel paese più maschilista d'Europa» (Feltrinelli, 210 pagine, 14 Euro, prefazione di Nadia Urbinati), un'inchiesta peraltro ricca di storie e testimonianze femminili interessanti che si presterebbero a un'interpretazione più complessa di quella che l'autrice ne trae: in sostanza, una generalizzata regressione, una generalizzata sottomissione a canoni etico-estetici imposti e lesivi della dignità femminile, una generalizzata incapacità di lottare e di avvalersi dei diritti. E' davvero così? La rappresentazione commercial-televisiva del gentil sesso nell'era berlusconiana coincide davvero con la realtà delle donne? L'eccellenza femminile di cui parlano tutti i dati sulla scolarizzazione e sul mondo del lavoro è davvero annullata dalle discriminazioni salariali e dal carico del lavoro familiare non condiviso con i mariti? Davvero dopo gli anni 70 ci siamo tutte «ritirate ordinatamente e in silenzio», ciascuna per sé e il mercato o l'uomo potente per tutte? E qual è la memoria - o meglio l'immaginario, o il fantasma - degli anni 70 che sostiene questa catena interpretativa?
Scrive Soffici che la sua inchiesta parte da un disagio: «Eravamo cresciute in una bolla felice, nella certezza di essere libere, di poter vivere la vita che volevamo. Ma era solo un'illusione. Non era vero. Il cammino verso la parità dei diritti iniziato negli anni 70 si era interrotto». Una osservazione analoga si ritrova in un altro libro-inchiesta appena uscito, Pensare l'impossibile di Anais Ginori (Fandango, 160 pagine, 14 Euro, prefazione di Concita De Gregorio, vignette di Pat CArra), che però esplicita nel sottotitolo, «Donne che non si arrendono», un'intenzione di segno contrario, ed è esplicitamente attraversato in più d'una pagina dalla domanda su quale sia, se c'è, il rapporto fra la generazione del femminismo storico e quella delle trentenni di oggi, scosse dal torpore dai noti fatti di quest'ultimo anno che Ginori definisce «l'Anno Zero delle donne italiane». Anche lei scrive: «Le ragazze che ho incontrato per scrivere questo libro non sono tutte veline. Molte però provano un senso di disillusione. Sono cresciute pensando che i diritti erano tutti già conquistati, che la parità fosse un dato acquisito. Hanno scoperto che non è così». Viene da rispondere che se è così non tutti i mali, il sexgate berlusconiano compreso, vengono per nuocere. Ma forse è più chiaro a questo punto il senso delle citazioni di Carla Lonzi all'inizio di questo articolo: servono a ricordare due cose. Primo, che non siamo all'Anno Zero. Secondo, che il femminismo degli anni 70 ha messo al mondo una pratica di libertà che non si fida della parità e non si affida ai diritti, che si conquista e si riconquista ogni giorno e in ogni contesto di vita pubblica e personale, e che non si cristallizza in leggi e garanzie. Ricordarlo non serve, spero che sia chiaro, a prescriverla ad altre donne e a un altro tempo, cui magari si addicono tutt'altre pratiche. Serve però a smontare la riduzione - tutta costruita dalla vulgata mediatica di trent'anni - del femminismo come lotta lineare e progressiva per la parità e i diritti. E a ricordare che, come si evince da questi stessi due libri, «l'illusione» dei diritti può avere una conseguenza spoliticizzante per chi ci si affida come a delle garanzie che rendono superflue le battaglie di libertà.
Pensare l'impossibile ha comunque il merito di rendere evidente un'agenda di questioni su cui «lo scontento delle più giovani» preme con maggiore urgenza. Si apre, intanto, con una inchiesta sulla tratta delle nigeriane: meritoria, perché quello del mercato internazionale del sesso, conseguenza tutt'altro che secondaria della globalizzazione, è uno dei tasselli che mancano alla chiacchiera infinita sul sexgate di casa nostra e sull'immaginario sessuale dei tempi nostri. E prosegue indagando sull'uso del corpo femminile nell'industria della pubblicità e della televisione, rendendo evidenti due stacchi cruciali rispetto agli anni 70: lo spostamento del fuoco dal corpo all'immagine del corpo, e lo spostamento della cornice dalla politica al mercato. Che cosa diventa o può diventare, la politica della libertà femminile, quando non si tratta del corpo ma dell'immagine, e si combatte non dentro e contro un contesto segnato dalla politica diffusa com'era nei 70, ma dentro e contro la dittatura del mercato, e quando la politica diventa mero esercizio del potere?
Sono domande che varrebbe la pena di approfondire. Alain Touraine, nel libro che senza ombra di dubbio si può considerare l'unico testo maschile che abbia afferrato e registrato la qualità specifica della rivoluzione femminile novecentesca e il «cambiamento di prospettiva» sul mutamento sociale da essa indotto (Il mondo è delle donne, il Saggiatore, già recensito su queste pagine), aiuta a darsi alcune risposte. Interrogandosi sui cambiamenti generazionali nella storia delle donne degli ultimi decenni, Touraine registra uno degli spostamenti che questi libri segnalano, dalla capacità di lotta della generazione dei 70 all'idea oggi predominante «che le donne siano completamente dominante e manipolate, private di parole e di immagini proprie, e si trovino così ridotte a mera creazione del potere maschile», soprattutto il potere dei professionisti della comunicazione e della pubblicità. Una «immagine caricaturale», scrive Touraine, che rischia di diventare un'ideologia al servizio dello stesso potere maschile; per smontarla, aggiunge, è bene «cercare le attrici dietro le vittime», ovvero, con un gioco di parole, non cadere vittime della (auto)vittimizzazione e aprire gli occhi sulle strategie attive di vita, resistenza, creatività, costruzione di sé e trasformazione del mondo che sono maggioritarie nelle vite femminili di oggi successive alla «grande rivoluzione» dei 70.
Occorre anche capire, scrive Touraine, che la sessualità è diventata, nelle società contemporanee, il terreno su cui per le donne si gioca una aspra battaglia sul confine fra costruzione consapevole di sé e mercificazione. La mappatura di questa battaglia comporta strumenti fini, che non possono esaurirsi nella denuncia estemporanea della galleria degli orrori che ci è passata davanti nell'ultimo anno. Sandra Puccini, nel suo prezioso Nude e crudi. Femminile e maschile nell'Italia di oggi (Donzelli, 200 pagine, 18 Euro), si mette e ci mette sulle tracce di un cambiamento dell'antropologia italiana che ruota attorno al cambiamento dei ruoli sessuali, che oggi esplode ma che è cominciato nei primi anni 80 (con Drive In), e lo storicizza proprio in rapporto alla rivoluzione femminista dei 70: «Contro le femministe sembravano prendere corpo immagini femminili costruite pescando nelle più arcaiche fantasie maschili: con l'antica scissione fra le donne tentatrici e peccaminose dell'immaginario erotico e le altre, quelle da sposare e con cui mettere su famiglia». Da allora a oggi non ci sono state solo la tv spazzatura e la pubblicità a fare la loro parte, ma un fascio di linguaggi che vanno dalla letteratura alla fiction alla fotografia sui settimanali di moda. E non hanno operato univocamente a svilire il corpo femminile, ma più sottilmente a costruire una «tirannia della bellezza» basata su messaggi ambivalenti e su una «molteplicità di rappresentazioni» che dava anche risposte, per quanto illusorie, a un desiderio di libertà e di autonomia, o dava corpo - anoressico - ai nuovi sintomi del disagio, il narcisismo in primo luogo, di quella che altri chiamano «società del godimento»: una società in cui erotismo, sessualità, pornografia tendono a sovrapporsi, e «fare sesso» si sostituisce a «fare l'amore». Crucialmente, scrive Puccini, non si è trattato solo di una manipolazione del femminile, bensì di una riscrittura del femminile e del maschile, dominata per un verso dalla tendenza alla confusività e all'omologazione androgina, per l'altro da un ripristino di maschere sessuali tradizionali - uomini violenti, donne docili - utili a placare l'ansia dovuta alla sparizione reali dei ruoli tradizionali. Una ottimma pista, che ha tra l'altro il merito di porci di fronte alla cruciale domanda: e degli uomini, che ne è stato nel frattempo?

giovedì 4 marzo 2010

L'Italia e il Gender Gap

Condivido l’appello, firmo e faro’ girare , però vorrei aggiungere anche altro.

Esiste una relazione precisa tra la percezione della donna trattatacome merce di scambio in Italia e la posizione occupata dall’Italia nel Gender Gap Report.

Le donne in Italia “valgono poco” sono merce di scambio nelle relazioni personali e professionali, nella politica, nella comunicazione e questo e’ in linea con il 72° posto (su 135 paesi)occupato dall’Italia nel Gender Gap 2009 del World Economic Forum, passato sotto silenzio dagli organi di stampa, dai leader politici esindacali.
Diminuire la forbice della discriminazione di genere significa per le donne occupare una piu’ concreta posizione nel mondo economico e politico e di conseguenza avere una visibilita’ piu’ coerente e dignitosa rispetto al ruolo ricoperto nella societa’ .Inoltre, cosa importante ma che non viene MAI ribadita a sufficienza, discriminare le donne nella nostra società significa anche che il paese perde in termini di competitività economica : uno spreco di risorse tanto più ingiustificato in momenti di crisi economico-finanziario quanto quello attuale.

Infatti secondo Klaus Schawb fondatore e presidente del World Economic Forum (l’influente organizzazione, che organizza tutti glianni il Forum di Davos in Svizzera con i principali leader mondiali) il Gender Gap Report, dimostra che coinvolgere le donne egualmenterispetto agli uomini in tutti gli aspetti della vita e’ IMPERATIVO per realizzare una società prospera ed ECONOMICAMENTE COMPETITIVA.
Riporto qui di seguito alcuni dati sul Gender Gap e il link:
“Le donne discriminate in Italia in ambito economico e sociale: lo conferma il rapporto 2009 Global Gender Gap del World Economic Forum,che assegna al nostro paese il 72esimo posto su 135 paesi, con una perdita di cinque posizioni rispetto al 2008, in cui avevamo segnato un progresso sugli anni precedenti. Il World Economic Forum è un’organizzazione influente, che organizza tutti gli anni il Forum di Davos in Svizzera con i principali leadermondiali, e promuove il Women Leaders and Gender Parity Programme. Il metodo del rapporto, inaugurato nel 2006 e orami divenuto un appuntamento annuale, consiste in una misurazione quantitativa della situazione relativa di maschi e femmine, attraverso 14 indicatori relativi a quattro aree cruciali: economia e lavoro; istruzione; politica; salute e aspettativa di vita. L’indice esamina le prestazioni dei vari paesi rispetto alla suddivisione delle loro risorse e opportunità tra le rispettive popolazioni maschili e femminili, a prescindere dai livelli generali di tali risorse e opportunità. La classifica include 135 paesi e copre il 93% della popolazione mondiale.Come prevedibile, sono i paesi scandinavi a guadagnarsi il podio delle pari opportunità tra donne e uomini. Al primo posto si piazza l'Islanda, quarta nel 2008 e ora lanciata dalla nomina a premier di Johanna Sigurdardottir, davanti a Finlandia, Norvegia e Svezia. Seguono la Nuova Zelanda, il Sudafrica che guadagna oltre ventiposizioni, poi Danimarca, Irlanda, Filippine e il sorprendente il Lesotho al decimo posto (dal 16esimo), davanti quindi a tutti i big europei. La Germania è 12esima, il Regno Unito 15esimo (entrambi in leggero calo), la Spagna 17esima e la Francia 18esima (meno tre posizioni). L'Italia, terzultima fra gli stati europei, è superata anche daVietnam, Romania e Paraguay. A spingerci in basso è soprattuttol’indice complessivo su partecipazione e opportunità nell'economia, in cui siamo al 96° posto, a causa delle disuguaglianze rispetto agli uomini nei salari (addirittura al gradino 116) e nella partecipazionealla forza lavoro. Ovvero, solo il 52% delle donne fanno parte della popolazione attiva contro il 75% degli uomini e il reddito medio delle donne è la metà rispetto agli uomini, 19.168 dollari l'anno contro38.878”.

Io vorrei che i candidati si impegnassero a farci elevare nel gender gap attraverso azioni concrete e non solo attraverso un generico appoggio.

Patrizia De Bardi

mercoledì 3 marzo 2010

Donne, bambini, libri

Dal blog di Loredana Lipperini Lipperatura:

Sono in attesa di leggere il libro di Caterina Soffici, Ma le donne no, con curiosità, interesse e gioia: è magnifico che i libri sulla cosiddetta questione femminile si stiano finalmente moltiplicando quando, fino a tre anni fa, erano considerati robetta vintage. Vorrei anche leggere il testo inglese di cui parla oggi Repubblica, che riguarda le bambine, e non solo.
E’ importante. Perchè non sono solo le bambine che sognano di diventare veline quelle a cui viene richiesto di conformarsi a un modello adulto. Tira la giovin scrittrice di bell’aspetto, e non importa il contenuto? Bene, c’è chi si vanta di pubblicare “l’esordiente più giovane d’Italia”, spacciando la faccenda per operazione culturale (meglio autrice che cubista). Pollice verso, e vergogna.
Di seguito, l’articolo di Gabriele Pantucci sul libro di Natasha Walter.


In un grande magazzino londinese Natasha Walter sconfina involontariamente nel piano riservato all’infanzia e confessa il proprio sbalordimento. Ha l’impressione d’aver inforcato un paio d’occhiali con le lenti rosa. Nel suo nuovo libro Living Dolls. The Return of Sexism racconta infatti di come, nel banco dove le ragazze possono dipingersi le unghie, si passi « dal rosa mandorla di Barbie alla tinta fragola della Bella Addormentata di Disney, al rosa latteo di Bay Annabel, al roseo di Hello Kitty». Per anni le femministe hanno scritto che i bambini vanno incoraggiati a giocare superando i confini tracciati dai loro sessi. Viceversa oggi siamo tornati nel mondo delle bimbe in rosa e dei bimbi in azzurro. Natasha Walter è signora di 43 anni che vive a Londra con due figli e un compagno. Laurea a Cambridge, breve soggiorno a Harvard, e poi una carriera che l’ha vista transitare da Vogue alla vicedirezione letteraria di The Independent, a The Guardian. In parte una tradizione famigliare: suo padre - noto anarchico - fu per parecchi anni il caporedattore del Times Literary Supplement. Dodici anni fa la Walter scrisse The New Feminism che le garantì una posizione preminente nel femminismo del Regno Unito. Questo suo nuovo libro ci dimostra come la situazione si sia deteriorata. Il femminismo aveva parole chiave come “liberazione” e “scelta”. Oggi i termini sono stati cooptati da una società che vende alle donne una visione della femminilità ritoccata e iper-sessualizzata, definita dalla pubblicità, dalla televisione e dalle riviste.

Prosperano i night club come quello in cui ci introduce l’autrice: il Mayhem di Southend. Un grande letto vuoto domina il locale in attesa della gara Bimbe a Letto. La vincitrice si guadagnerà un contratto di modella con la rivista Nuts. Le candidate arrivano in hotpants anni ‘70 e si muovono sul letto incoraggiate dal pubblico maschile. Persino le università tendono a occuparsi di pornografia senza l’occhio critico degli anni Ottanta.

La prostituzione viene resa attraente e valorizzata con serie televisive come Belle de Jour. Ispirata da un noto blog. Solo recentemente, tardi per il libro della Walter, si è scoperto chi si celasse dietro il nome d’arte della signorina che aveva scelto di prostituirsi.

“Belle de Jour” è una scienziata, di 34 anni, che vanta un dottorato in neurotossicologia ed epidemiologia del cancro. Si era dedicata a questa attività per finanziare gli studi che le hanno fruttato il titolo accademico. Scoperta, la dottoressa Magnanti ha spiegato di non aver alcun rimpianto, anzi l’attività le aveva dato potere nei confronti degli uomini. Un epilogo curioso e sarebbe stato interessante conoscere quanto questa rivelazione poteva cambiare il punto di vista della Walter sulla serie tv e sul blog.

Ma le prospettive per il femminismo cui s’ispira Natasha Walter non sono incoraggianti. Come lei scrive, «oggi trionfa la donna oggetto sessuale». Anche la maggiore eguaglianza politica che sembrava si fosse sviluppata nei primi anni dei governi di Blair e di Clinton sta scomparendo. Le donne continuano a svolgere la maggior parte del lavoro domestico. La diminuzione della forbice tra i redditi dei due sessi si è fermata. In Gran Bretagna nel 2002 il 40 per cento dei posti da alti dirigenti erano occupati da donne, nel 2007 sono scesi al 22.

D’altra parte, come ricorda l’autrice, esiste anche un corposo filone di “pseudoscienza” che ripropone molte differenze di genere come innate e biologiche piuttosto che frutto di fattori sociali. Teorie che sembrano sempre più accettate e diffuse. Questa analisi viene sviluppata nella seconda parte del libro che si chiama appunto “nuovo determinismo” e che mostra come moltissimi stereotipi abbiamo ripreso piede. In Inghilterra, dove il libro è uscito da poco, le recensioni sono state molto positive e sconsolate, perché «purtroppo, la Walter ha ragione».

(pubblicato online su Lipperatura il 23 febbraio 2010)

martedì 2 marzo 2010

Aspettando... le onde rosa Ostia-Roma 3 marzo


Incontro sul tema delle pari opportunità e della creatività femminile in Italia
con Lisa Ginzburg,Donatella Della Ratta, Giulia Marandola,Stefano Ciccone, Eleonora Selvi
Nell'ambito del progetto "Il presente come storia" del Liceo Labriola
mercoledì 3 marzo 20101 h. 09.30
Biblioteca Elsa Morante Ostia

Incontri 2 marzo Bracciano (RM)

BRACCIANO:OGGI 'IO NON CONSIDERO NORMALE', INCONTRO SUL RUOLO DELLE DONNE

- BRACCIANO (RM), 2 MAR - "Io non considero normale che le donne siano trattate come merce di scambio nelle relazioni personali e professionali, nella politica, nella comunicazione".
Anche Graziarosa Villani, candidata consigliere per la Federazione della Sinistra, si è unita alle migliaia di donne che in queste ore stanno sottoscrivendo sul web e su facebook l'appello "Io non considero normale".
"Non è normale e non deve essere più normale - dice Graziarosa Villani - che le donne vengano fatto oggetto di mercificazione e marketing. Ritengo inoltre fondamentale lavorare per rimuovere la differenza delle retribuzioni che tuttora permangono a tutti i livelli tra uomini e donne. E' ora di dire basta".
E proprio per dibattere questi temi Graziarosa Villani ha promosso per oggi 2 marzo alle 17 presso l'auditorium comunale di Bracciano l'incontro "Io non considero normale: Donne, tra passato e presente" Letture a cura di Michela Caruso, in gran parte riguardanti il ruolo delle donne nella politica con dibattito e confronto sul ruolo femminile oggi, dal "soffitto di cristallo" a corpo femminile-pubblicità, dalla disparità di retribuzioni al deficit di rappresentanza.
Autore: Red

lunedì 1 marzo 2010

Incontri: Ma le donne no

Tre presentazioni del libro di Caterina Soffici Ma le donne no. Come si vive nel paese più maschilista d'Europa (Feltrinelli 2010):
mercoledì 10 marzo: la Feltrinelli Libri e Musica (via Piemonte 2, Milano), con Daria Bignardi
giovedì 11 marzo: la Feltrinelli Libri e Musica (galleria Colonna, Roma), con Luca Telese e Maria Laura Rodotà
venerdì 12 marzo: libreria Feltrinelli (piazza Ravegnana, Bologna), con Nadia Urbinati

Libertà, consapevolezza: un documento

Proponiamo qui un'analisi un po' lunga, ma molto interessante, elaborata da un gruppo di donne intorno agli stessi temi toccati dall'appello Io non considero normale. Sarebbe interessante sviluppare queste riflessioni e, magari, tradurle in possibili azioni concrete.

Siamo un gruppo di donne diverse per età, professione e opzione politica, benché orientate a sinistra. Facciamo parte di quel vasto movimento di opinione femminile che ha reagito indignata al torbido intreccio di sesso e politica rivelato dai casi del presidente del Consiglio e del presidente della giunta del Lazio. Si tratta di un movimento composito che si è manifestato nei modi più vari (appelli, documenti, lettere, blog) esprimendo giudizi anche contrastanti sullo stato attuale dei rapporti tra i sessi in Italia.
Noi ci siamo ritrovate a condividere, innanzitutto, il disagio e lo sconcerto per l’acquiescente indifferenza con la quale gran parte del paese ha accolto fatti, rappresentazioni, discorsi fortemente lesivi della dignità delle donne. Volevamo capire come e perché nel corso degli anni si fosse venuto imponendo, nell’insieme dei mezzi di comunicazione e di intrattenimento, e senza provocare un’adeguata reazione, una immagine del femminile che, spacciata per spregiudicata e libera, offende elementari principi di rispetto e buon gusto e nasconde la crescita professionale civile e culturale delle donne italiane.
In secondo luogo gli appelli e i documenti che sono circolati ci hanno lasciate insoddisfatte o perplesse.
Non ci persuade l’idea che il degrado dell’etica pubblica, che si accompagna alla mercificazione del corpo femminile e al corrompersi delle istituzioni, sia riducibile allo strapotere di un solo individuo. Per dirla brutalmente, non ci pare opportuno che anche questa volta tutto si riduca a pretesto per parlare male di Berlusconi. In questo modo si distoglie l’attenzione da processi più di fondo che investono la società nel suo insieme. D’altra parte neppure ci convince la tesi che l’Italia, negli ultimi anni, abbia fatto un balzo all’indietro e che le donne siano vittime di un patriarcalismo di ritorno.
Né ci pare appropriato il curioso trionfalismo di una parte del femminismo che nelle sortite di Veronica Lario e di Patrizia D’Addario scopre i segni della indelebile iscrizione della libertà femminile.
Nella storia, le eleva ad eroine del cosiddetto post-patriarcato e nelle vicende che le riguardano scorge solo la miseria maschile.
Che cosa pensiamo
A noi la situazione appare più complicata. La difficoltà che abbiamo provato noi stesse a giudicare in modo lineare fatti, persone, comportamenti (se condanniamo non cadiamo nel moralismo, nel puritanesimo? se ci appelliamo alla libertà non dimentichiamo quanto di oppressivo c’è nello scambio sesso-denaro-potere? Di quale libertà stiamo parlando?) ci pare nascere invece dal fatto che viviamo in un mondo segnato in profondità dal femminismo. Non solo perché è definitivamente tramontata l’idea di una naturale subordinazione delle donne: le nostre società occidentali si sono ormai organizzate sul presupposto della uguaglianza dei sessi. Ma perché la coscienza che hanno di sé le giovani e meno giovani donne italiane (anche quelle che si mettono in vendita), non è più quella di vittime, deboli e indifese. Si percepiscono libere e padrone di sé. Ed è sicuramente vero.
Ma basta allargare un po’ lo sguardo per rendersi conto che questa non è tutta la storia. La mutata coscienza delle donne non è in grado di controllare né le condizioni della loro esistenza e riproduzione né i modi con cui vengono rappresentate nei media e nelle istituzioni; e neppure ci si prova seriamente. Il controllo, ovvero, per chiamare le cose con il loro nome, il potere continua a stare nelle vecchie mani maschili, logore e miserabili quanto si vuole, ma ancora ben strette attorno alle leve del comando. E in questa estenuata conservazione sta una delle chiavi più serie per intendere il declino e la marginalizzazione dell’Italia rispetto al resto d’Europa.
Un radicale cambiamento si è certamente prodotto, ma secondo il modello della “rivoluzione passiva”.
I possenti movimenti di emancipazione e liberazione femminili, che avevano espresso nel corso degli anni ‘60 e ‘70 cultura e forza politica, hanno portato alla conquista di ampi diritti di cittadinanza per le donne italiane, ma si sono bloccati nel passaggio all’esercizio pieno della decisione politica, lasciandone ancora una volta la responsabilità nelle sole mani degli uomini. Così, noi italiane siamo soggetti di una ampia gamma di diritti, ma drammaticamente incapaci di esercitare individualmente e collettivamente azione politica, tanto che gli stessi diritti riconosciuti spesso stentano a tradursi nella realtà e restano una cornice astratta. Nel campo del lavoro, del welfare, della maternità, del sistema dei media, nelle rappresentanze istituzionali si verificano scarti talmente forti tra principi e realtà che la libertà rischia di continuo di scivolare nella subalternità.
Sicuramente, sul piano strettamente personale, è veritiero il quadro, delineato da ricerche e dalle testimonianze delle donne più giovani, di una crescente inconsistenza dell’identità maschile resa più evidente dal confronto con una forza femminile sempre più consapevole. È però altrettanto vero che la forza femminile priva di una adeguata proiezione pubblica rischia di riprodurre il cliché del matriarcalismo della tradizione familiare italiana, aggravato e stravolto dalla crisi dell’istituto familiare.
Il confronto con gli altri grandi paesi europei quantifica e fissa questo scarto in cifre e ci restituisce l’immagine di un paese fragile anche perché tiene le donne ai margini dello sviluppo civile e politico. Basta ricordare come l'Italia sia il paese dove coincidono il più basso tasso d'occupazione femminile e il più basso tasso di natalità.
La domanda che ci siamo, dunque, poste è come è potuto accadere che la grande forza delle donne italiane che aveva sprigionato tanta soggettività politica e culturale, si sia acconciata a godere di diritti e libertà soggettivi, rinunciando di fatto a misurarsi con la sfida della responsabilità politica. Sembra rimasta inchiodata alla rivendicazione senza provare seriamente ad esercitare una qualche egemonia, quasi ‘scartando’ rispetto a questa possibilità.
Non è facile rispondere, sono in gioco tanti aspetti, noi proviamo ad indicarne alcuni, sapendo che raccontano solo una parte della storia.
Innanzitutto non si può ignorare il contesto politico e il modo in cui hanno interagito i movimenti delle donne e l’insieme dei partiti e delle istituzioni.
Guardando al resto dell’Europa si può rilevare che sia i partiti conservatori che quelli socialdemocratici hanno reagito alla crisi della rappresentanza, esplosa tra gli anni ‘70 e ‘80, aprendosi alle pressioni delle donne ed attuando un parziale ricambio delle classi dirigenti. In Italia, no. In Italia questo processo è abortito. Altrove, dai paesi scandinavi alla Francia e Germania, sono state introdotte ed attuate norme antidiscriminatorie, quote, politiche di welfare in favore delle donne, ecc. e tutto ciò ha consentito un più equilibrato rapporto tra la forza femminile e il suo peso sociale e politico. In Italia ne stiamo ancora discutendo. Perché questo divario?
Una possibile spiegazione sta nella rottura traumatica del sistema dei partiti agli inizi degli anni ‘90 che ha favorito una massiccia e pervasiva penetrazione dell’ondata neoconservatrice, di dimensione sconosciuta agli altri grandi paesi europei. La cultura che si è venuta imponendo colpiva al cuore idee e valori del femminismo. La destra italiana, tradizionalmente misogina e malthusiana, l’ha fatta propria e cavalcata, e solo recentemente, in alcune sue punte, comincia a percepire il significato “nazionale” della presenza femminile nelle istituzioni.
Le responsabilità che ricadono sugli attori politici e sindacali della sinistra italiana appaiono, a questo riguardo, grandi. È stata pagata duramente dalle donne e dall’insieme del paese la loro profonda incomprensione di cosa significhi una forte e larga presenza di donne nei centri decisionali e rappresentativi. Una politica “dalla parte delle donne” sarebbe stata (e tuttora sarebbe) un contributo eccezionale alla formazione di una nuova alleanza sociale riformatrice, dopo l’epoca “fordista” e dopo il welfare patriarcale, in grado di rivolgersi a tutti i cittadini e le forze sociali. Continuare a non affrontare e risolvere questa questione è una delle ragioni della persistente debolezza delle forze della sinistra.
Ma se ha contato la miopia delle forze della sinistra, non ci pare trascurabile la sponda offerta all’ondata neoconservatrice dalle culture politiche femministe risultate dominanti. L’anti-istituzionalismo e l’individualismo sia di stampo radicale che liberal-conservatore hanno avuto la meglio sui vari tentativi di affrontare collettivamente, come forza femminile organizzata, il tornante della rappresentanza sia nelle istituzioni politiche che negli organismi sociali (dal sindacato ai vari enti della società civile).
In Italia è stata dominante in questi ultimi decenni l’ideologia iper-liberale della forza dell’individuo, contrapposta a ogni forma di organizzazione collettiva, artatamente rappresentata come livellatrice delle eccellenze nonché fonte di debolezza. Le donne sono state al contempo oggetto e veicolo di quella ideologia. Occorre ricordare il terribile dibattito, a ridosso delle elezioni del 1993, sulle donne di destra che vincevano perché da singole non chiedevano la tutela delle “quote”, a differenza delle donne di sinistra perdenti perché abbarbicate alla dimensione collettiva? Fu così che nella opinione pubblica femminile si diffuse il convincimento che ciò che contava era la capacità di rappresentazione simbolica, ossia il coagularsi della potenza femminile intorno a figure carismatiche. E fu scartato un altro possibile percorso, irto di ostacoli, ma trasparente e democratico: quello delle donne che decidono e scelgono le loro leader, a loro volta in grado di giudicare in base a criteri non discriminatori altre donne rappresentative della forza femminile nella società, nelle professioni, nei mestieri, nelle Istituzioni. Sappiamo del resto per esperienza quanto arduo sia questo cammino per la difficoltà delle donne a gestire i rapporti di potere fra loro. Le donne in genere non sopportano di essere giudicate e scelte da donne, tanto che alcune scuole psicanalitiche attribuiscono all’identità femminile qua talis tale resistenza.
E così queste difficoltà ci hanno portato dove siamo: alla cooptazione al ribasso da parte degli uomini di poche donne, prive di legami “organici” con la società femminile e quindi di una base autonoma di consenso e di forza politica.
Gli stessi organismi e le politiche di pari opportunità si sono rivelati contenitori vuoti, buoni a dare qualche contentino più che a far crescere una classe dirigente femminile.
È in questo quadro che è andata svanendo una delle acquisizioni più importanti del patrimonio culturale del femminismo italiano e cioè l’idea dell’uguaglianza e della differenza tra i sessi. Conquistare la parità con gli uomini non significa affatto per le donne diventare come loro, fare le stesse cose. Anzi era stata coltivata la grande ambizione di costruire una società a misura dei due sessi, se è vero che essere donna non è una disgrazia né della natura né della storia ma una della manifestazione della differenza interna all’umanità che va lasciata libera di esprimere tutto il suo “genio”. Dinanzi alla mancata realizzazione di almeno alcune delle promesse (dalla conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, a politiche in favore della maternità oltre alla marginalizzazione dei giovani, uomini e donne dalla dinamica sociale) si sono riproposti modelli puramente emancipativi della libertà femminile oppure, seguendo un’onda culturale che proveniva dagli Stati Uniti, si è pensato di eliminare alla radice il problema adottando l’ideale del transgender, ovvero di portare all’estremo la decostruzione del genere femminile e maschile, sino all’annullamento dell’identità sessuata. In nome di una libertà che presume di poter plasmare e mutare corpi e vita a proprio piacimento si avanza sul terreno della cancellazione delle donne dall’agenda politica e culturale. Non a caso negli ultimi anni le battaglie che hanno avuto più forte impatto politico e mediatico sono quelle per i diritti degli omosessuali e non a caso nella disgraziata vicenda del referendum sulla legge 40, sulla procreazione assistita, a dare il tono alla campagna referendaria sono stati gli scienziati sino a configurarla prevalentemente come una battaglia per la libertà della ricerca.
Contemporaneamente dagli schermi televisivi, dalle copertine dei giornali e delle riviste passano immagini di donne cosiddetti vincenti la cui unica o principale prerogativa è quella di avere un corpo appetibile per il desiderio di maschi pronti a comprarselo.
C’è qualcosa che non va nello scarto che avvertiamo tra le energie, la generosità, l’impegno, il valore di milioni di donne italiane e la misogina e stantia composizione delle classi dirigenti italiane.
Sappiamo anche che ci sono questioni rimaste aperte dalla stagione del femminismo e vogliamo provare a rimetterle al centro.
Che cosa vogliamo
Vogliamo innanzitutto creare una rete, elastica ed informale, di collegamento tra le mille realtà associative, piccoli gruppi, donne singole che avvertono come noi l’insostenibilità dello stato di cose presenti e mirano a spezzare i quadri bloccati della democrazia italiana.
Vogliamo passare dalla rivendicazione di diritti per le donne alla prova dell’esercizio della responsabilità politica. Siamo al dopo femminismo.
E per questo crediamo sia necessario un pensiero, una riflessione che riguardi i due sessi, gli uomini e le donne. La miseria maschile non costituisce una maggior forza delle donne. Tutt’altro. Il rapporto tra i sessi non è a somma zero.
Vogliamo aprire un dibattito ampio, che abbia effetti concreti ad esempio sui media, su che cosa intendiamo per libertà. Se crediamo che l’aprirsi alla libertà delle donne introduca qualcosa di inedito nella storia della libertà oppure sia solo la semplice estensione delle concezioni esistenti.
Come far valere su un piano generale l’esperienza che le donne hanno del corpo anche come limite, da cui scaturisce la coscienza del limite, della non autosufficienza, della creaturalità. Una libertà intrisa di questa consapevolezza è ciò di cui avvertiamo la mancanza.
Marina Calloni, Cristina Comencini, Fabrizia Giuliani, Serena Sapegno